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Trapani: la città del sale e della vela

L’appellativo di “città del sale e della vela” è spiegato dai due aspetti tipici della città: l’estrazione e il commercio del sale, e la passione dei trapanesi per gli sport acquatici, fra cui spicca la vela; nel corso degli anni, la città di Trapani ha assunto una rilevanza internazionale per alcune fasi dell’America’s Cup.
È il capoluogo della Sicilia occidentale e si trova in una privilegiata posizione geografica che ne caratterizza il clima mediterraneo, costituito da inverni raramente freddi ed estati calde ma non torride e molto ventilate: ciò è dovuto alla sua affascinante conformazione, sulla lingua di terra che dalle pendici del Monte Erice si restringe fino alla punta, che ospita la secentesca Torre di Ligny, sede oggi di un Museo Civico.

I MISTERI DI TRAPANI

La Processione dei Misteri si svolge a Trapani il Venerdì Santo, da 400 anni. L’origine è spagnola, in quanto la manifestazione religiosa ha analogie importanti con le feste andaluse. La processione composta da 20 gruppi sacri, ha inizio alle 14 del Venerdì Santo, per concludersi ventiquattro ore dopo. Viene considerata la più lunga manifestazione religiosa italiana dopo la Sagra di sant’Efisio che dura ben 4 giorni, e soprattutto una tra le più antiche.
I Misteri rappresentano la conclusione di una settimana piena di appuntamenti. Nell’aria vi è un’atmosfera molto particolare: le strade sono colme di gente, di ogni età e ceto, che ammira i Sacri Gruppi che sfilano lungo le vie del centro.

Processione dei Misteri

I Misteri sono la rappresentazione artistica della morte e passione di Cristo, con 20 gruppi sacri, di cui due simulacri di Gesù Morto e di Maria Addolorata. Furono concessi in affidamento, tramite atti notarili, dalla Confraternita di San Michele Arcangelo, che istituì il rito, alle maestranze locali, con l’impegno di curarne l’uscita in processione.
La tecnica di realizzazione delle statue consiste nello scolpire nel legno i volti, le mani ed i piedi, così come di legno è lo scheletro. Sono internamente sostenuti da ossature in sughero, sui quali si modellavano gli abiti, grazie al fatto che la stoffa, precedentemente immersa in una mistura di colla e gesso, permetteva una maggiore naturalezza degli abiti e maggiore plasticità espressiva, secondo una tecnica tipicamente trapanese, detta carchèt. In tal modo nei drappeggi dei vestiti vennero realizzate quelle pieghe che si plasmavano alla diversità della scena rappresentata e rendevano ogni figura diversa dall’altra. Per la realizzazione di questi gruppi non ci si ispirò all’iconografia classica, ma ad episodi citati nei sacri testi o nei vangeli apocrifi ed aggiungendo anche delle personali interpretazioni, e gli artisti trapanesi seppero dare a questi gruppi una dinamicità rappresentativa unica nel vasto panorama delle sacre rappresentazioni.
Le statue sono fissate ad una base lignea detta vara, con un procedimento particolare, al fine di consentire una certa oscillazione durante il trasporto, tale da poter far esprimere una scenica rappresentatività al gruppo che le trasporta durante la rappresentazione religiosa.

LA MATTANZA NEL TRAPANESE

Una tradizione che risale fin al quaternario (circa due milioni di anni fa) quando la pesca era praticata in modo rozzo ed essenziale. Le varie popolazioni che si sono succedute nell’isola hanno, di volta in volta, migliorato e affinato le tecniche di pesca fino a farne un’attività primaria dell’economia marinara. I Fenici, a Cadice, avevano organizzato un centro marinaro, dove oltre la pesca si svolgeva anche la pulitura del pesce. La tradizione continuò con i greci e i bizantini e gli arabi diedero alla pesca quel tocco di perfezionamento, con l’installazione delle reti fisse in mare, collocandole in modo che il tonno fosse guidato attraverso varie camere fino a quella finale. Questo sistema è quello che attualmente viene utilizzato al fine di “imprigionare” i tonni e impedirne l’uscita.

Dopo qualche giorno si procede alla mattanza, ovvero le reti vengono sollevate a galla e i tonni vengono uccisi. La lavorazione continua sulla terra ferma, dove si trovano dei grossi capannoni che fungono da deposito e spazio per la lavorazione (sventramento, sezionamento, e così via).
Nel corso del tempo, in Sicilia, le tonnare si sono moltiplicate ed ampliate e rappresentano un pezzo di storia e di tradizione siciliana, raccontando delle fatiche dei pescatori e della vita divisa tra mare e terra. Le tonnare trapanesi – Trapani, Favignana, Formica, San Cusumano, Bonagia, Scopello, San Vito Lo Capo e Capo Granitola – sono state nei secoli le più floride e importanti del Mediterraneo e il tonno che viene pescato è il più grosso, perché giunge in queste acque alla fine del suo migrare.

CUSCUS FEST E CIBO DI STRADA

La cucina trapanese e la gastronomia della sua provincia, pur avendo molto in comune con la cucina siciliana, risente, più che altre zone della Sicilia, del maggior numero di “contaminazioni” con altre cucine e in particolare dell’influenza della cucina araba.
La cucina trapanese si differenzia inoltre in parte dalle altre cucine della Sicilia per il forte utilizzo di pesce al posto della carne. Fra i tanti piatti celebri, una citazione particolare va al cuscus, ricordato spesso con la dicitura alla francese “couscous”. La semola viene preparata dalle abili mani delle cuoche e cotta a vapore in una speciale pentola di terracotta smaltata, ma il condimento, a differenza di quello magrebino (a base di legumi e carne di montone), è un delizioso brodetto di pesce misto (scorfano rosso, scorfano nero, cernia, pesce San Pietro, vopa, gallinella, lugaro, insieme a qualche gambero o cicala).

Traditional ethnic food: fish tajine with cous cous

In onore di questo piatto si svolge nel trapanese una famosa manifestazione, il Cous Cous Fest, che è il Festival internazionale dell’integrazione culturale, un importante appuntamento che si rinnova da sedici anni, coinvolgendo nella sua atmosfera festosa tutti i paesi dell’area euro-mediterranea e non solo.
L’evento è ricco di incontri gastronomici, eventi culturali e attività ludiche di ogni genere. Artisti, musica e suoni d’ogni tipo ed estrazione; rumori, ritmi e melodie che parlano e arrivano da mondi lontani che qui si incontrano e si fondono, per creare un atmosfera magica e irrepetibile. Ma il protagonista indiscusso dell’evento rimane comunque il cuscus, inteso non solo come piatto, ma soprattutto come anello di congiunzione e simbolo di apertura tra culture: momento centrale dell’evento è infatti la gara gastronomica internazionale, alla quale partecipano chef provenienti da tutto il mondo che si sfidano nella preparazione del miglior cuscus.
Stragusto”, un evento unico, che celebra i migliori produttori del cibo tipico consumato in strada, in un’esplosione di sapori, colori e profumi inebrianti che sono i grandi protagonisti delle quattro serate ricche di eventi, incontri e degustazioni. L’obiettivo di “Stragusto” è quello di recuperare e valorizzare il grande patrimonio offerto dai produttori del cibo da strada, veri e propri artigiani del gusto, che tramandano la tradizione culinaria della propria zona di generazione in generazione. In un momento in cui lo street food viene celebrato da più parti come un fenomeno innovativo di stampo internazionale, è interessante sottolineare come il cibo, specie quello da strada, è espressione e patrimonio di una comunità, rappresenta la storia ma anche l’evoluzione delle abitudini e dei gusti ed è in questo contesto che la diversità diviene ricchezza. In un luogo perfetto per questo evento, come la Sicilia, che da secoli accoglie numerosi popoli e tradizioni, prende quindi vita “Stragusto”, un’occasione unica per unire cibo, cultura, tradizione e spettacolo.

IL TOUR DELLA PROVINCIA

Un modo piacevole per trascorrere una giornata nell’autentica provincia trapanese, è quello di effettuare un tour che ne tocca i centri principali, una piacevole gita di circa 200 chilometri all’interno della storia di una provincia unica. Lasciata Trapani, si percorre la statale 187 fino a Castellamare del Golfo, un comune di circa 15.000 abitanti, dove ogni due anni si celebra la rievocazione storica dell’attacco al porto da parte degli inglesi, sventato, secondo la leggenda, dall’arrivo della “Madonna di l’assicursu” (Madonna del soccorso). Da vedere è il castello che viene così descritto dal geografo arabo Idrisi: “Nessun castello è più forte di sito né meglio per la costruzione che questo qui, cui cinge intorno un fosso tagliato nella montagna”.
Spostandosi verso l’interno si raggiunge Gibellina, il cui sito originale è stato abbandonato dopo il devastante terremoto del Belice del 1968 e la Nuova Gibellina, cittadina che conta meno di 5.000 abitanti, è un autentico museo dell’architettura moderna. Curioso il caso dell’artista Alberto Burri, che si rifiutò di progettare un’opera per il nuovo insediamento e creò viceversa un gigantesco monumento della morte che ripercorre le vie e vicoli della vecchia città, presso la Gibellina originaria. Osservando dall’alto l’opera, che con i suoi 10 ettari è una delle più estese del mondo, appare come una serie di fratture di cemento sul terreno, il cui valore artistico risiede nel congelamento della memoria storica di un paese.
Ritornando in direzione della costa, si incontra Castelvetrano, un centro di circa 30.000 abitanti, caratterizzato da un interessante centro storico, in cui è piacevole passeggiare tra pregevoli chiese e palazzi nobiliari, tra cui palazzo Pignatelli).Castelvetrano è anche una tappa enogastronomica imperdibile: vi si produce un caratteristico “pane nero” e rigogliosi crescono gli olivi della Nocellara del Belice, particolare varietà succosa e poco acida.
Proseguendo verso ovest si raggiunge di nuovo il mare, a meno di 200 chilometri dalle coste tunisine del Nord Africa: siamo a Mazara del Vallo, 50.000 abitanti, “splendida ed eccelsa Città cui nulla manca. Essa non ha pari né simili riguardo alla magnificenza delle abitazioni e del vivere e alla eleganza dell’aspetto e degli edifici”, per citare nuovamente le parole di Idrisi.
Tornando verso nord lungo la statale 115, l’intero tragitto risulta estremamente piacevole, ma una sosta dovuta è a Marsala che con i suoi 80.000 abitanti è il quinto centro della Sicilia, il cui nome le fu dato dagli arabi che sbarcarono a Mazara del Vallo il 17 giugno dell’827: volendo creare una testa di ponte per la conquista dell’isola, essi si diressero nella zona più vicina a Mazara e la chiamarono MarsAllah: “Porto di Allah”.
Meta finale è di nuovo Trapani, che chiude simbolicamente questo cerchio, una giornata sicuramente piacevole che delizierà il cuore e lo spirito di ogni visitatore.

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