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Valle Camonica: i segni del passato

Nella Lombardia orientale, nel cuore delle Alpi Centrali, si estende una vallata lunga quasi 100 chilometri, con una superficie di oltre 1.500 chilometri quadrati e una popolazione che supera i 120 mila abitanti, gli stessi della città di Bergamo, capoluogo di provincia da cui può partire un’escursione per chi proviene da ovest e che si trova a soli 60 chilometri dall’inizio della vallata, estesa però in massima parte nel territorio della provincia di Brescia. Siamo in Val Camonica, dove a parte i comuni di Lovere, Rogno, Costa Volpino, Castro e la Val di Scalve, che fanno parte della provincia di Bergamo, possiamo vivere un’indimenticabile esperienza nella natura all’interno della provincia di Brescia.

Ponte di Legno

La vallata è attraversata per tutta la sua lunghezza dall’alto corso del fiume Oglio, il secondo affluente per lunghezza del fiume Po, che nasce da una sorgente a 1.253 metri di quota nell’area di Ponte di Legno e raggiunge il Po dopo un percorso di 280 chilometri. Il limite settentrionale della vallata è segnato da tre maestosi valichi montani: il Passo del Tonale, a 1.883 metri di quota, il Passo dell’Aprica e il Passo del Gavia, che rappresenta anche il punto più a nord della valle.
La Val Camonica viene chiamata anche Valcamonica o Valle Camonica e trova la sua origine nel nome col quale gli scrittori classici definivano anticamente la popolazione che vi abitava, ossia i Camuni, che si insidiarono in quest’area circa 8 millenni prima dell’anno zero, lasciando sulle pietre di queste montagne il segno della loro presenza e del loro passaggio.
Si tratta di un’eredità composta da oltre 300 mila incisioni rupestri, un’enciclopedia vivente di storia e cultura, che ancora oggi rende la Val Camonica un luogo mistico, nel quale incontrare un passato remoto attraverso i segni che ne raccontano il cammino.

A SPASSO TRA I SEGNI

Le incisioni rupestri della Val Camonica, i cosiddetti Pitoti, costituiscono una delle più ampie collezioni di petroglifi preistorici del mondo e sono state il primo Patrimonio dell’umanità riconosciuto dell’Unesco in Italia, a partire dal 1979. L’Unesco riconobbe inizialmente più di 140 mila figure ma ad oggi, dopo nuove scoperte, si è arrivati a quasi 300 mila Pitoti, scolpiti nella roccia in un arco temporale di circa 12 mila anni e che sono presenti su oltre 2 mila rocce, in oltre 180 località comprese in 24 Comuni.
Percorrendo i parchi archeologici della Val Camonica è possibile ammirare cacciatori, guerrieri, contadini, carri ed aratri, buoi, cervi, uccelli acquatici e cani, capanne e torri.
L’intera valle è così popolata da incisioni rupestri da non poter escludere che, avventurandosi al di fuori dei percorsi più noti, ci si possa imbattere in segni ancora non censiti, un’eventualità molto rara, visto l’altissimo numero di curiosi ma anche grandi esperti che hanno percorso ogni anfratto di questo territorio, ma pur sempre una curiosa possibilità di vivere un’avventura davvero unica.

LUCA GIARELLI – CC-BY-SA 3.0 – Incisione del labirinto

Molti sono i simboli incisi e diverse anche le teorie che riguardano le loro diverse interpretazioni, un insieme di segni che intrecciano in modo affascinante e curioso arte, storia, religione e i diversi sentimenti dell’umanità, proiettando chiunque si lasci catturare dall’emozione evocata, in un viaggio immaginario indietro nel tempo.
Le principali incisioni rupestri sono raccolte in otto parchi tematici, a Darfo Boario Terme, Ossimo, Ceto, Cimbergo, Paspardo, Capo di Ponte, Sellero e Sonico, costituendo un insieme di emozionanti percorsi alla scoperta dei diversi risvolti della storia dell’umanità, ancor prima che di questa singola valle.

LA ROSA CAMUNA

Tra tutti i reperti che sono stati lasciati dagli antichi abitanti della Val Camonica, di certo la più famosa in assoluto è la Rosa Camuna. È formata da una linea che si sviluppa come una girandola, chiamata anche croce ansata a quattro bracci, inserita tra 9 pallini, o coppelle, allineati con angoli di 90°.

Questo simbolo è stato ritrovato 92 volte tra le 300 mila incisioni rupestri della Valcamonica ed è stata raffigurata principalmente in tre modi differenti, per effetto dell’evoluzione che il segno ha avuto nel corso del tempo.
La Rosa Camuna è spesso associata a guerrieri che sembrano danzare attorno a essa e a difenderla dall’aggressione di nemici armati, ma il suo significato è tuttora fonte di dibattito tra gli studiosi. Simboli analoghi sono stati ritrovati in Mesopotamia e hanno portato gli studiosi a pensare che tale simbolo sia stato diffuso da questa terra, attraverso il contatto tra popolazioni, fino ad arrivare in Val Camonica. Ritrovamenti di simili figure incise sono avvenuti anche in Portogallo, Svezia e Gran Bretagna (famosa in particolare la Swastika Stone di Ilkley Moore nello Yorkshire, Inghilterra) e fanno pensare a un simbolo usato dai guerrieri preistorici.
Ancora una volta ci si imbatte quindi in un simbolo utilizzato anche da popolazioni il cui contatto sembra improbabile, rendendo affascinante e misteriosa la ricostruzione del nostro passato.
Su proposta dell’allora assessore alla cultura della Regione, Alessandro Fontana, la stilizzazione della Rosa Camuna, realizzata da Pino Tovaglia, Bob Noorda, Roberto Sambonet e Bruno Munari nel 1975, è diventata il simbolo della Lombardia, che ne è depositaria del marchio e ne regola l’utilizzo.

SAGRE, PARCHI E FESTE

Per chi vuole organizzare una gita in Val Camonica, le occasioni sono veramente tante, ma noi vogliamo proporvi un evento e un luogo che sicuramente potranno migliorare il vostro stato d’animo.

Cominciamo con la Fiera dei Fiori, uno degli eventi di punta del territorio della valle, patrocinata da tutte le istituzioni locali e nata dal desiderio di valorizzare uno dei distretti florovivaistici più noti a livello nazionale. Questa Fiera, che si svolge solitamente a fine aprile, trasforma il comune di Piancogno, in provincia di Brescia, in un enorme giardino, dove il centro diventa una grande area pedonale con 70 espositori di fiorai, vivai, rivenditori di materiali del mondo della botanica e di attrezzature agricole.
La festa coinvolge comunque tutti i commercianti della zona, che partecipano con banchetti e stand, per presentare i propri prodotti ed è affiancata da un insieme di spettacoli musicali ed eventi per bambini, senza dimenticare i numerosi artisti di strada che confluiscono qui: è una manifestazione a tutto tondo, un evento non solo per gli appassionati di fiori e piante, ma anche una festa per il paese.
Ogni anno questa fiera attira circa 50 mila presenze, non solo dalla provincia di Brescia, ma anche da una gran parte del nord Italia, compresi turisti stranieri, soprattutto provenienti da Croazia e Slovenia. Se viceversa volete provare a vivere per un giorno come gli antichi Camuni, nelle loro abitazioni fatte su palafitte, pescando con le mani e costruendo vasellame lavorando l’argilla, allora potete spendere una giornata all’interno dell’Archeopark, in località Gattaro, nel comune di Darfo Boario Terme.

Vista dell’Archeopark

Questa curiosa esperienza è possibile grazie alla perfetta e scientifica ricostruzione fatta in questo parco museale tematico, dove sembrerà veramente di essere tornati indietro nel tempo a 4.000 anni fa: un luogo a metà tra il museo e il parco divertimenti, che propone al pubblico, in modo interattivo, la ricostruzione della vita materiale e spirituale dell’uomo della preistoria e protostoria, in uno spazio finemente ambientato, di circa 100 mila metri quadri, immerso nella natura tra boschi di castagno e prati verdeggianti.
Al suo interno sarà possibile esplorare una Grotta-Santuario con pitture rupestri e realistiche ricostruzioni dei ripari costruiti dagli antichi cacciatori nomadi o delle fattorie degli agricoltori del Neolitico, oppure avanzare a colpi di pagaia sulle divertenti piroghe per raggiungere il villaggio di palafitte proteso sul lago, o anche avventurarsi nel Labirinto Rupestre desunto dalle incisioni di Luine, Capodiponte e Cimbergo.
Il risultato finale consente di ripercorrere millenni di storia in un paio d’ore, assaporando la vita dell’uomo preistorico.

IL CUZ: ALLE ORIGINI DELLO SPEZZATINO

È generalmente condiviso che non esiste una cucina della Lombardia unitaria, ma tradizioni differenti da provincia a provincia, con influssi esercitati anche dalle regioni limitrofe, nelle quali la zona di pianura è nettamente distinta da quella prealpina e alpina. In ogni caso, elementi comuni alle varie gastronomie delle province lombarde non mancano: prevale il burro sull’olio, il riso sulla pasta e c’è una produzione diffusa di formaggi e latticini.
Se vogliamo chiederci però quale sia il piatto lombardo più antico, addirittura con origini celtiche, probabilmente in Val Camonica siamo nel posto giusto, con una specialità gastronomica tipica, la cui preparazione si è mantenuta quasi inalterata, di generazione in generazione, attraverso i secoli: stiamo parlando del Cuz.

Le prime notizie di questo piatto risalgono al ‘700, quando la Val Camonica era spartita fra autoctoni, barbari e saraceni e questa ricetta veniva preparata dai pastori dopo le transumanze, diventando in seguito il piatto di festa nelle famiglie del territorio; altro non è che una sorta di spezzatino di pecora, un piatto povero, come è giusto che sia, vista la sua lunga vita e il cui uso tradizionale era destinato, oltre ad un consumo immediato, alla conservazione sotto abbondante sale in olle di terracotta, per poterne beneficiare nei mesi successivi.
Ottimo come condimento del pasto serale, oppure da mangiare freddo con patate lesse, infine fritto in padella e accompagnato con la polenta, il Cuz è caratterizzato dal fatto che la carne utilizzata per la preparazione dovrebbe essere di “pecora cortenese”, contraddistinta da un peso fra 60 e 70 chili, l’assenza di corna e il manto bianco, una razza che purtroppo oggi è in via d’estinzione.

LA VALLE DEI FORMAGGI

La Val Camonica, vista la sua estensione, possiede molte malghe e molti alpeggi attivi: nel periodo invernale gli animali vengono condotti in stalle a fondo valle, ma appena il caldo accenna ad arrivare, mandrie di vacche e capre vengono accompagnate in colmi e profumati pascoli, dove rimarranno fino all’arrivo delle prime frescure autunnali.
Normale quindi che la valle sia particolarmente ricca di formaggi, frutto di esperienza e abilità affinatesi nel corso di secoli di storia e tradizione e dal fatto che l’alta qualità della vita degli animali in questo territorio, garantisca prodotti unici, dal gusto inconfondibile.
Tanti sono dunque i formaggi prodotti, ma tra i più noti ricordiamo il Casolet, un formaggio a pasta cruda ottenuto prima dell’affioramento del latte, parzialmente scremato. Il formaggio fresco è di colore bianco, mentre quello più stagionato tende all’avorio, con un profumo caratteristico ed un sapore dolce e delicato. Oltre ad essere degustato fresco o stagionato, era particolarmente utilizzato per la preparazione di alcuni piatti tipici, semplici ma straordinari, come lo stachèt, il Casolet sciolto in burro con uova strapazzate.
Molto nota è anche la Rosa Camuna, un formaggio ottenuto da latte parzialmente scremato per centrifuga e sottoposto a pastorizzazione. Ha una forma che richiama quella del quadrifoglio ed è ispirata alla famosa incisione rupestre che porta questo nome: di color avorio, morbido e leggermente elastico, questo formaggio ha un caratteristico e intenso profumo di burro, ma più delicato all’assaggio.

Ricordiamo anche il famosissimo formaggio Silter, che deve il suo nome al termine dialettale, di origine celtica, che designa il locale della sua stagionatura in malga: si tratta di un formaggio a pasta semicotta, ottenuto esclusivamente da latte vaccino crudo, che viene deposto in vasche a temperatura controllata per l’affioramento, dove viene così parzialmente scremato.
Ricordiamo infine lo storico formaggio Fatulì, che in dialetto significa “piccolo pezzo”, un caprino molto particolare e raro, realizzato ancora da alcuni casari con il latte crudo proveniente da una razza originaria di queste zone, la capra bionda dell’Adamello: presidio Slow Food, ha la particolarità di essere affumicato.

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