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I grissini stirati di Vittorio Amedeo II

Il grissino, non vi è alcun dubbio, trova le sue origini nella tradizione culinaria sabauda. Permane però ancora molta nebbia su come si sono realmente svolti i fatti che ne hanno determinato la nascita e la diffusione, anche se analizzando la letteratura in tema, solo due sono le versioni più accreditate. La prima, quella più storica, posiziona la loro nascita verso la seconda metà del ‘300, periodo in cui il pane non si vendeva a peso ma quando ad ogni unità corrispondeva un soldo; a causa dell’inflazione che colpì il Piemonte, la “grissia” (forma di pane) divenne man mano sempre più leggera e sottile, fino a trasformarsi nel “gherssin” (piccola grissia). La seconda versione, più leggendaria, sarebbe legata a Vittorio Amedeo II per il quale i grissini furono un alimento provvidenziale. A tal riguardo, il Carutti, storico e politico italiano, in “Storia di Vittorio Amedeo II” racconta: “il dottor Pecchio di Lanzo, chiamato a curare il giovanetto Duca Vittorio Amedeo II, bandì pozioni e boccette ed ogni generazione medicinale, lo fece nutricare di panne grissino, onde, la natura aiutante, il suo corpo rinvigorì”. Il dottor Teobaldo Pecchio, attribuendo la causa del male al pane mal cotto, ordinò tale cura per guarire il giovane che soffriva di febbri e disturbi intestinali. Dietro suo ordine quindi il panettiere ducale, il cui nome, tramandato ai posteri era Antonio Brunero, inventò così la ricetta originale del grissino (forse già noto in altre zone del Piemonte). Il Duca, Come le belle favole impongono, guarì cibandosi di questo pane e ancora oggi si dice che il suo fantasma vaghi per le stanze dello stesso castello, conducendo con una mano il cavallo e brandendo con l’altra un grissino incandescente. Indipendentemente dalle sue origini, il grissino ha sempre goduto di molto successo anche presso i nobili. Ne era ghiotto re Carlo Felice che lo mangiava nel suo palco a teatro; presso le Corti europee il “les petits baton de Turin” veniva degustato con curiosità; nella Francia di Luigi XIV si tentò di imitarlo, facendo arrivare a Parigi due artigiani torinesi, ma l’acqua e l’aria della Senna non erano buone come quelle del Po e i risultati furono modesti; Napoleone inviava regolarmente dei corrieri imperiali a Torino per rifornirsi del “gherssin”, perché sembra fosse di sollievo alla sua ulcera.

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