L’attenzione all’ambiente implica l’adozione di pratiche di utilizzo responsabile delle risorse, come l’energia rinnovabile, la riduzione degli sprechi e il riciclo.
Tutto ciò nasce dal fatto che viviamo in un’epoca in cui la preoccupazione per il cambiamento climatico e la salute del nostro pianeta è ai massimi storici e l’inquinamento rappresenta una concreta minaccia per il futuro della vita sulla Terra.
Va da sé che le scelte dei consumatori più attenti possano essere quindi indirizzate verso prodotti ecosostenibili e, più in generale, verso i brand la cui comunicazione sostiene questi valori.
Un circolo assolutamente virtuoso, se non fosse che esistono casi di aziende o brand che si mostrano pubblicamente più attente, sensibili, impegnate in questioni ambientali, di quanto lo siano effettivamente, esibendo campagne di comunicazione e di pubbliche relazioni orientate al green marketing, finalizzate a costruire un’immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale.
Questa pratica, definita “greenwashing”, che in italiano traduciamo liberamente come “ecologismo di facciata” o “ambientalismo di facciata” è purtroppo abbastanza diffusa: InfluenceMap ha valutato il divario tra dichiarazioni e azioni concrete nella lotta al cambiamento climatico di 300 aziende presenti nella classifica Forbes 2.000 e ben il 58% di loro è stata valutata a rischio greenwashing.
Un tema molto sensibile, sul quale vengono attuate e rinnovate normative molto precise.
È stato recentemente approvato lo schema di decreto legislativo che recepisce in Italia la Direttiva (UE) 2024/825 che protegge i consumatori dalle pratiche commerciali ingannevoli, in particolare in materia di comunicazioni ambientali, ovverosia il cosiddetto greenwashing.
La Direttiva modifica le precedenti Direttive 2005/29/CE (pratiche commerciali sleali) e 2011/83/UE (diritti dei consumatori), e mira a fornire informazioni più chiare, verificabili e trasparenti sui prodotti, servizi, pratiche aziendali, comunicazioni e sui relativi impatti ambientali.
La scadenza per il recepimento della Direttiva è fissata al 27 marzo 2026 e le nuove regole contro il greenwashing inizieranno ad essere effettive dal 27 settembre 2026.
COSA CAMBIERÀ PER LE IMPRESE
• Le affermazioni ambientali dovranno essere vere e dimostrabili con dati o prove concrete. Le aziende potranno dichiararsi “green” solo se dimostrano
scientificamente ciò che affermano (con certificazioni riconosciute). Saranno
quindi vietate parole vaghe come “ecologico” o “sostenibile” senza prove
verificabili;
• Le etichette ambientali (loghi, bollini “green”) saranno ammesse solo se basate su sistemi di certificazione trasparenti e riconosciuti a livello UE;
• Le imprese dovranno documentare e aggiornare periodicamente le informazioni ambientali dei loro prodotti in modo da poterle mostrare alle autorità o ai consumatori in caso di controllo;
• Fornire informazioni corrette anche sul sito web e nei materiali pubblicitari;
• Chi fa greenwashing rischierà sanzioni economiche, ritiro delle campagne
pubblicitarie e danni reputazionali.
COME PREPARARSI
• Verificare tutte le dichiarazioni ambientali già presenti su prodotti, materiali
pubblicitari e sito web;
• Documentare i dati e le prove a sostegno di ogni affermazione “green”;
• Aggiornare le comunicazioni per eliminare termini ambigui o non verificabili;
• Informare il personale marketing e commerciale sulle nuove regole;
• Monitorare il recepimento nazionale e le sanzioni che saranno introdotte.









